di Cristiano Gabrielli
Forse i pregiudizi, quando sono tardivi, a differenza di quanto suggeriscono scienza e coscienza sono una cosa da difendere: i frutti stregati dell’esperienza personale.
Un matematico cinico direbbe: la cifra esponenziale delle disillusioni espresse nell’arco dell’esistenza e dell’insistenza.
La propria.
Ma un sofisma é spesso una menzogna, lo sappiamo bene.

In generale la maggioranza delle persone mente spudoratamente rispetto al grado di percezione che ha: molto spesso per comoditá propria ed anche altrui, si inizia da piccoli.
Da piccoli.
Non approfondisco su: le gomme da masticare rosa di Rintintin con la storia-tatuaggio da leccare piú del cewing-gum sotto l’incarto; bytheriverofbabylon; una goccia di Cynar in un bicchierone gelato di Idrolitina; il tappeto marrone cioccolata da un lato e marrone crema dall’altro, perfetto per giocare all’aperto sul terrazzo con macchinette sempre piú scassate; le ginocchia ed i nastri bianchi delle bambine con cui giocavo nel cortile della scuola e le pietre fossili lí scavate.

Se ne parlo di sfuggita é perché si capisca che all’artista, passati i 40, piace la rimembranza futile o prolissa.
A quello da cucciolo, checché ne dicano gli scrittori e gli esperti, anche quelli buoni davvero, puó battere il cuore per cose semplici e straordinarie: esattamente come a tutti.
Il problema é solo che lo fa piú velocemente e che vede altro, immagina altro, prova altro.
Cosa?
Non lo dico mica al primo che passa, scusa.
Non capiresti: né la gestalt, né la poetica, né l’associazione di idee, né le sottese motivazioni.
E mi serve, avere qualcosa di assolutamente privato.
Non penso sia giusto mettere proprio tutto in chiaro, nell’opera o nel processo.
Perció finiamola con l’eccesso di endoscopia, per favore.
Peró restiamo nell’ambito della chirurgia a vivo, in un certo senso.
Piú tardi, in tutte le visite cardiologiche che farai nella vita, il medico auscultando ti dirá sempre, immancabilmente: accelleratino eh? Peró tutto normale no?
Accelleratino?
Le trecentoventisette sigarette al giorno, i fumi e le polveri di trieline e diluenti , plaster, gessi e resine, le notti insonni, gli stravizi e lo stralavoro, i litri di vabbé facciamoci un bel caffé, le apocalissi intime che hai imparato a gestire da solo e solo un pó, quindi un pó troppo tardi e male, come a suo tempo hai fatto con l’eccesso di sensibilitá e salivazione…
Normale?
Lo sta domandando proprio a te, il sommo Esculapio.
Il senso di assoluto naufragio che provo sempre, nell’ascoltare la definizione di questa ipotetica, accellerata normalitá, é forse piú devastante di qualsiasi consapevolezza: allora devo davvero continuare a sentirmi cosí.
Vabbé, ce ne faremo una ragione.
Magari una aorta tappata si risolve piú facilmente, no?
Vaglielo a dire.
L’estate e quindi la felicitá, significa quindi per me due cose: pomodori e finestre.
Lavori estivi.
I pomodori fatti in casa sono un rito di passaggio.
Tra il mi affascina e il un’altra volta i pomodori c´é tutto quello che hai imparato prima di essere uno sgorbio secco di uomo, che vuole solo disegnare o aggeggiare con le mani e la sua immaginazione.

La raccolta delle bottiglie di mezze birre e gazzosa, la loro bollitura a bagno maria, la pelatura, il taglio, misure differenti per usi diversi, il prezzo per cassetta che quest´anno conveniva quasi comprarli giá fatti, l’inserimento dei pezzi nel collo delle bottiglie che é un’arte: guarda si fa con il manico della stessa cucchiarella con cui si gira la salsa.
Una epifania, anche dell’uso antropologico dell’oggetto.
Pensi misticamente prima di addormentarti: …e se ci si mangiasse anche la pasta? Allora si, sarebbe una vera figata.

Presagi di altre notti e di nuove identiche illuminazioni mistiche: con una barra filettata che prendi domani in ferramenta questa la risolvi facile facile…. cazzo, ma falla di gesso no?… ma se invece di ragionare sull’estetica del sentimento lo guardo a rovescio?…e adesso basta con sto cincischiamento e la patina e non la patina…da solo puoi farlo di scaltrezza, quasi mai di sveltezza… lasciarlo raffreddare in un certo senso…
Voci di tutti quelli che ti hanno insegnato qualcosa, voci anche tue.
La felicitá assoluta é una traccia labile come una bava di lumaca, ma si affila, si incide proprio sotto lo sterno.
Piccoli nulla non compresi e poi assolutamente evidenti, chiari, illuminati, vividi per sempre.
Un mazzo enorme di figurine di calciatori trovate per terra.
Con Agatino Cuttone: nome da dimenticare, pippa stellare e panchinaro universale.
Allenarlo, vincere contro la Juve al ’97 con eurogol suo, orgasmico.
Ritagliare per giorni e giorni le sagome copiate a vetro di tutti i supereroi e supercriminali esitenti, Marvel e Dc chiaramente, per la guerra totale delle calzamaglie.
Peró ci metto pure Kriminal che non c´entra niente, neanche dovrei conoscerlo, ma e´ in calzamaglia, é fico, conosce donne bonazze e lancia pure i coltelli: quindi alla fine vince lui su tutti.
Strappare le ali a una mosca, dopo si puó addestrare meglio.
Mangiare con gusto pane secco ed interi barattoli di zucchero con il cucchiaio.
Dieta mediterranea modificata.
Scrivere forza Lazio nell’androne per fare incolpare un altro, tu sei del Toro e lo sanno tutti.
Poi essere scoperto e punito, a causa della Z scritta al contrario.
Cosí la fai solo tu, lo sanno tutti pure questo.
Lo Zorro dei coglioni.
Leggere un pezzo di un vecchio libro di filosofia di tua madre mentre cerchi nello scaffale qualcosa per la merenda, non capire assolutamente nulla e non avere nessuna paura e averne tantissima assieme per quello che potrebbe pensare, lei che adori, di questo.
Aspettare sveglio tuo padre che rientra tardissimo dal laboratorio e che odora ancora di limatura e di fumo, di segatura di bosso e sapone Svelto se ha finito un lavoro ed é contento.
E aiutare a fare i pomodori o dire no guarda, non puoi venire a casa mia a giocare, sai devo fare i pomodori.
Perché fondamentalmente, diciamo la veritá, i pomodori non aiuti a farli piú.
Adesso guardi e dai impiccio e basta, a volte apposta, perché tua madre sfinita ti mandi in camera tua.
E sei da sempre un gioioso misantropo e poi, la maggior parte del tempo, stai da Dio a giocare da solo.

Anche da grande, anche la maggioranza delle volte che ti senti un pó solo e ti incazzi, non per contraddizione zen ma con estremo gusto anche in questo caso, perché non passa nessuno a dare una mano o un parere e devi fare sempre tutto da solo.
Ma poi, quando passa qualcuno speciale, é piú bello farsi aiutare o semplicemente mostrare ció che si sta facendo, o parlare dei progetti comuni: un poco minimizzando e nascondendo e molto cercando la stessa tua felicitá negli occhi di chi guarda.
No guarda, non puoi venire a casa mia a giocare, devo fare i pomodori.
Dirlo adesso come scusa farebbe sorridere l’interlocutore.
Non di tenerezza, ovviamente.
E dire invece a qualcuno: no guarda, tu proprio mi dai impiccio se passi?
Chi é che disse che se tutti dicessero ció che pensano, cioé la (loro) veritá (del momento) il mondo sarebbe semplicemente uguale all’Inferno?
Non importa.
Le vernici sono invece la soluzione, nella famiglia, per dare una rinfrescata a quel vecchio scaffale di ferro come alle persiane di tutta la casa.
No, ti dicono: il ferro meglio non sverniciarlo mai.
Le persiane di legno, di pino douglas precisamente, l’operaio le lavorerá sul posto, sul terrazzo di casa.
Si gratta via, vernice vecchia e polvere.
Ma questa volta mica le facciamo di quel verde orribile? E un bel flatting marino?
Peró meglio non grattare mai troppo; no bisogna grattare a fondo, riportare il pino a legno vivo.
Queste sono due Scuole che si confrontano: altro che battaglie sull’estetica, i programmi, le prassi e gli stili.

La prima invitava a dare solo una “romanina” economica e a pulire bene piú che altro, con acquaragia povera, poi una stuccatina, ma solo proprio se serve e dare giú un bello smalto coprente, di un colore piú scuro, per rinverdire: e tra un anno o due Dio vede e provvede.
La seconda optava per un intervento piú deciso ed energico e vinceva.
Mio padre dichiarava a tavola, tagliandosi la pesca da mettere nel vino bianco freddo: quando si fa un lavoro…
In quella sospensione giá c´era tutta la vittoria del Metodo.
Altro che Cartesio.
Felice, io favoleggiavo dentro di me di straordinari acidi e solventi universali che avrebbero utilizzato per questa soluzione finale.
Bagni di sverniciatore: ah, se esistesse uno sverniciatore!
Lavaggi con pompa e nafta, magici liquidi teteschi, bruciamento dei residui con fiamma ossidrica…
Durata: 1 giorno di assistenza al lavoro ed ottenimento dall’operaio di turno, in cerimonia tipo investitura di Parsifal, per l’impagabile apporto e la dedizione assoluta dimostrata, di una boccetta del portentoso unguento o di un prestito temporaneo dell’artilugio utilizzato o della sapienza tecnica necessaria.
Da sperimentare magari sul vecchio modellino di Buick Riviera dipinto per errore di oro finto indelebile (e male), in un pomeriggio di noia ed inettitudine.
O sul veliero per i Playmobil che stai costruendo con tutti gli scarti di legno, battiscopa, pezzi di scatole del vino che sei riuscito a raccattare.
La rimozione degli avanzi e degli strati di vernice secolari era invece assai meccanica, necessitava un paio di settimane: lenta ed inizialmente assolutamente noiosa.
Prima a spatola, per far saltare le croste pendule: incrostazioni di altri pomeriggi estivi inesorabili ma alla fine gioiosi ed impagabili.
Miei o di chissá chi altro: tra una stecca e l’altra ci si perdeva l’io.
E poi la carta vetro, passaggi di grane progressivamente piú fine, le polveri che sanno di olii minerali persistenti e poi di squisita resina di pino, poi lo stucco .
A legno o francese?
A legno, a legno.
I ritocchi, i tasselli.
Infine: fine.
Che vuol dire prima mano: iniziare a passare il fondo.
Pensi: passare…passare.. ma non era, toccare il fondo?
No, se lo tocchi ti si appiccica alle dita e non lo passi piú, imbecille.
Ma non lo sai, ed ovviamente lo tocchi, é chiaro, sotto lo sguardo dell’operaio che con pazienza riprende il pennello e dá un´altra passata sulle tue ditate, mordendo con gusto il panino con la mortadella, poi un bel sorso alla birra.
Poi due o tre mani, a seconda della necessitá e mai solo della voglia.
E questa é un´altra che ti ricorderai poi, rispetto al lavoro.
E quanto é bello poi riappenderle, le persiane, maneggiandole con la maestria e con la forza che inizi ad avere, toccandole con la punta delle dita che reggono pezzi di carta vetro fina per non macchiarle.
Si poggiano sul piede, per riprendere fiato: cosí non si rovinano.
E vederle nuove davvero.
Una epifania.
Tutto questo potrebbe spiegare a qualcuno la mia attuale attitudine con le finestre, qui in Messico.
In molti, tra passanti e vicini, mi hanno guardato anche un pó peplessi, lanciandomi un ¡échale!

Divertiti o incuriositi in molti si sono fermati a domandare lumi: le finestre sono come le persone, mi piacciono al naturale.
Altri che mi vogliono bene si saranno certamente anche preoccupati mentre, in bilico sulla scala, aggredivo per giorni con il trapano e i dischi abrasivi, il cannello a gas e poi con circa 5 litri di sverniciatore, altra bella passata di disco e finalmente con la carta abrasiva, le finestre esterne del nuovo spazio.
Targate 1950 e ridipinte a mani sovrapposte di vernici di vario tipo, senza soluzione di continuitá, tanto per capire il livello.
Sia delle finestre che della follia dell’esecutore della medesima, si capisce.
Ovviamente mani assolute: qualcuno mi ha detto sorpreso: ma perché, si diluisce?
Mi ero giá invano misurato, nel precedente studio, con il compito di riverniciare all’italiana una finestra messicana.
Aveva vinto lei nonostante tutte le mie trionfali ed ingenue dichiarazioni di intenti ed i tentativi effettivi fatti: dopo giorni di sforzi vari, vani e frustranti, mi ero quasi in lacrime arreso ad una ulteriore mano ( e molto grassa) di smalto nero coprente.
Dandola mi ero vergognato a morte, sentendomi un mentecatto, un fallito ed un pecione.
Questa volta doveva andare diversamente.
Tom Sawyer ritorna sempre sul luogo del delitto, Baby.
Senza aiutanti e carabattole da barattare nelle tasche, chiaramente: quando vuoi un lavoro fatto bene…ho dichiarato.

Ho sentito quasi un sapore di pesche al vino bianco: un potenziale evocato.
Magari uno pieno di saggezza, psicologia, PNL, filosofie di vita ed altre cazzate neopositiviste, osserverebbe superiore che io sono particolarmente cocciuto, intrappolato nei pattern assimilati durante l’infanzia ed in un certo modo assolutamente stupido, sgradevole e spietato, nelle rivincite, negli approcci e nell’esistenza in generale.
Che questo é male: tanto per gli altri che per il mio inconscio, per l’equilibrio interiore, il karma, il bambino interiore e per la gestione generale delle energie, delle risorse e del tempo.
Leggendo aggiungerebbe che sfogo, inutilmente per altro, rabbie preadolescenziali mai risolte e che il mio bambino interiore probabilmente e´morto soffocato dalla polvere tanto tempo fa, sul terrazzo di casa dei miei genitori.
O che é un tossico impazzito, traviato per sempre dai fumi dell’acquaragia.
Ma invece lí é nato il suo concetto di felicitá.
Io dico che, da un lato, voglio assolutamente replicare un momento di acquisizione, di sapienza e di crescita, un attimo sabbatico: un momento di completezza e di compimento.
Non faccio altro che questo nel mio lavoro del resto, cercare di comprendere il mondo e di ricrearlo, di risolverlo non invasivamente.
Certo, nel frattempo magari rompo parecchio i coglioni, anche se me ne sto per i fatti miei.
Applicare la mia piccola sapienza per la grande opera, affinché possa mostrare ad altri, oltre che a me stesso, la perfezione, la grande bellezza incontaminata di quello che é contenuto in un solo oggetto.
La somma dell’energia di ció che io sono e che ho vissuto, in un solo punto, in un solo momento.
Dall’altro lato, penso alle persiane verniciate di fresco nella casa dei miei genitori.
A quanto era bello quel momento.
Ed alle persone verniciate di fresco, me compreso: quanto sarebbe bello vederle, attraverso le loro pelli nuove, con tutti i loro graffi ed i ritocchi?
A me piacerebbero di piú, lo confesso.
I miei mi piacciono molto.
Mi piacciono anche cicatrici, imperfezioni e stranezze assortite e mi innamoro pazzamente di difetti assurdi, rarezze e bizarrie.
Anche di alcune che mi feriscono o mi fanno arrabbiare parecchio
Meccanismi passivo-aggressivi?
Sadomasochismo narcisistico-istrionico di cui liberarsi?
Non so, non lo credo affatto.
Come per le finestre che adesso abbiamo nello spazio: le preferisco esattamente come adesso sono che con una mano di vernice a sovrapporsi ad un’altra.
Le riporto a ferro vivo e gli do´ un trasparente, peró mica ci passo prima una patina, non sono cosí matto.
La mia Socia ascoltava e saggiamente, come spesso accade, aveva detto semplicemente sorridendo: molto newyorkino, peró facciamole bianche, come quelle all’interno.
Mica la ho ascoltata.
Poi ho goduto in maniera quasi insana e mi sono un pó commosso, lo confesso, quando una vecchia signora, quasi un mese dopo, passando mentre davo gli ultimi tocchi, mi ha detto sorridendo: bellissime, sono meglio adesso che quando ho visto montarle.
No, non é affatto una allucinazione o un’invenzione: ho fior di testimoni.
Ma devo anche confessare sinceramente che in alcuni punti anche queste hanno una patina.
La ho passata per un eccesso di buon gusto, causa per la quale sicuramente un giorno moriró.
Una patina, prima di dare il trasparente sul metallo portato a vivo ed in alcuni punti lasciato con l’ossidatura da clima marino che qui si raggiunge in una giornata.
Una patina: per coprire quei frammenti azzurri che non sono riuscito a distruggere nemmeno con le bombe nucleari e che mi urtavano la sensibilitá estetica e forse piú ancora il sistema nervoso, a lasciarli a vista.
Vista solo mia, perché il 70% delle persone nemmeno riusciva a vederli ed il 100% se glieli mostravo, diceva piuttosto: y.. ¿que?
Quindi tutto il tentativo di costruire una edificante parabola, di voler assimilare, persone e persiane in una bella metafora, utile anche per la chiusa finale e giustificatoria anche dell’enormitá di tempo che ci é voluta per farle cosí, é destinato a fallire, purtroppo.
Peccato.

Ad essere dei cazzari superconcettuali poteva essere un pezzo dell’esposizione.
Titolo dell’opera, Abrasioni Parallele 31×1: e poi via, a Documenta Kassel, Germania.
Ma quale Kassel.
Peccato davvero peró, per altri motivi.
Con alcune persone come sarebbe bello poterlo fare, simmetricamente.
Come in un certo senso é fallita la mia sfida con le finestre alla messicana.
Tanto poi la patina ce la metti tu, Baby.
E forse con le persone succede lo stesso.
E forse é inutile e dannoso pretendere di vederle “nature”, senza filtro.
Ed anche se ci riesci magari dovresti fare finta di niente.
E fissarti sui pregi e non sui difetti: pensiero positivo, e via andare.
Oppure no?
Penso anche a quelle Gauloises senza fitro buonissime che fumavo con gusto in classe, disegnando per ore teste di gesso sbrecciate, al Liceo Artistico.
Gattamelata, Giuliano con il suo elmo di fantasia, il Prigione e quella stizzosa profumiera della Madonna Medici, Augusto e l’orrido Quadricefalo, con la sua accozzaglia di facce ed epoche.
Si, fumavo in classe.
Perché il mio Preside Stratosferico, mica un Dirigente Scolastico Controriformato qualsiasi, se ti incontrava a ciondolare in corridoio ti spediva subito in classe, indicandotela con le dita abbronzate, gialle tanto di olio che di nicotina e naturalmente fumanti, che stringevano una puzzolente Stop lunga.
E bravo Gabrielli, francese e pure senza filtro! Ma baciatela mentre disegni no? Te la godi il doppio!
Senza filtro, e mentre disegni te la godi il doppio.
Mi piacerebbe dichiarare di avere vissuto sempre cosí e che fosse assolutamente vero.
Suonerebbe molto cool e molta gente ci crederebbe pure.
Ma adesso fumo Marlboro corte che vanno via come niente e a volte disegnare non mi basta, per godermela il doppio.
Allora non smetto di disegnare, ma ne accendo subito un’altra.
Guardare la finestra é sempre efficace, quasi piú che guardare dalla finestra, almeno in questo momento.
Fumare seduto sui gradini alla sera e guardare quelle del locale che stiamo ristrutturando per farne la sede dell’Associazione é sempre comunque molto bello.
E´ passata la mia Socia mentre le lavoravo e la matta ha voluto usare la fiamma, per darmi una mano a sverniciare e voleva usare il trapano ed il disco.

La ho ammirata ed amata, molto, per questo.
E´molto in gamba, la tipa.
Col trapano ha fatto solo due giretti, poi la ho fatta bardare come Darth Wader, con maschera ed occhiali e dopo trentaquattro secondi le ho tolto di mano il pericolo, perché non volevo che si facesse male.
Viene da proteggerla.
A lei: che salta piú alto di me anche se é ferma, che rischia qualcosa ogni volta che si muove ai miei occhi, perché io mi ammazzerei solo a tentarle certe cose.
O giá mi sono sgrugnato a farle o a sentirle, certe altre o cose simili, che non sono propriamente arti sceniche.
Ma senza filtro te la godi il doppio, non é vero Socia?
Faremo cose egregie qui.
La sera é bollente, la coca freddissima, schifosa ed assolutamente dissetante. Evviva la gluglu-balizzazione.
Chi aveva scritto che il male funziona sempre bene ed automaticamente?
Non importa.
Noi siamo i buoni e ci piacciono le cose difficili: le facili ce le beviamo e basta.
Da una parte della strada si parla di futilitá, per slogan, si scattano selfie istrionici, si simula divertimento in posa, si parla nei telefoni di Berkeley, di appuntamenti sempre altrove, sempre domani e di persona di super power ed obiettivi, di show e di sviluppo, di sushi yummy e chiaramente di great business, man.
Tutti hanno un’etá indefinita e successo, tutti indossano la maglietta giusta, molti hanno macchine nuove e luccicanti che generalmente non sanno parcheggiare e che adorano far lavare ad altri.
Sembra la Milano degli anni 90 o forse il Pigneto a Roma o la Condesa o Polanquito a Cittá del Messico l’altroieri o oggi.
Magari non avrebbero la macchina ma una ecologica bici in tungsteno e adamantium e sarebbero degli utenti entusiastici di Uber.
E piantala, che Uber l’hai preso anche tu a volte.
Dall’altra parte della strada ci sono due operai che hanno giá staccato da tempo, attardati dalla ciarla, dalle balene di terra e dal domino, fermi davanti al deposito di birra Tecate.
Piú rossi in faccia dell’insegna: sono assolutamente splendidi.
Casco di plastica, due biciclette assolutamente improbabili: una radiolina appesa al manubrio di uno lamenta a volume altissimo un narcocorrido di Herr Komandant, lo smartphone del piú giovane sforna contemporaneamente un pezzo di banda.
Come facciano ad ascoltarli e sopratutto ad ascoltarsi e´un mistero assoluto.
Peró ci riescono bene, pare.
Maglietta qualunque ed i gilet catarifrangenti impolverati, la scritta sulle spalle dice: la mia sicurezza é nelle mie mani.
Fantastico, siamo a posto.
E poi rido di gusto, sono contento di essere qui.
Dovrei averne uno anche io, penso subito dopo, credo di meritarlo, per un sacco di motivi.

Il I´m a creep I´m a weirdo di rito delle 22.55 che viene dal locale vicino si sente appena.
Tra un poco alle 23.05 circa gente in ascolto, imprevedibilmente, arriverá Like a stone, poi a mezzanotte si inizia a sbaraccare con enfasi: vai con Radio Gaga?
Venerdí trasgressivi, quindi via veloci verso un altro antro o un locale dove si balli veloce e si beva ancora piú veloce.
Passa un auriga addobbato di led stracarico di gente che ride, grida, mangia, beve, si sbraccia e saluta.
Il quarantasettesimo remix di Despacito lo sentono anche in paradiso.
Voglio lavorare ad una macchina del tempo: per collaudarla la useró per sterilizzare Julio nella culla.
Quello spagnolo mellifluo, galanazo ed invasore, pure dell’Italia, a suo tempo.
Lo faró despacito, ovviamente, con molta cura.
Se te le lascio, non vale.
La sua voce potrebbe guadagnarne ed anche tutti noi, chissa´.
Cosí non avremo poi anche Enrique a contaminarci la vita e magari la gente, sarebbe anche piú felice.
Non sono cinico: sono appartenuto ed appartengo a quelli che critico e ad anche ad altri limiti, vizi e simili.
Non sono affatto innocente: a questo punto, riguardo all’esistenza, sarei contento ed onorato di poter raggiungere l’equidistanza.
Mi piacerebbe alla fine una specie di karma zero.
Ma senza mediocritá, per cortesia: nessun “onesto pareggio”.
O magari si puó pensare che ne stia facendo ancora una volta una questione di buon gusto?
E poi basta finestre: la prossima volta le facciamo bianche, come quelle interne.
Innovazione ci vuole.
Penseremo quindi ai pomodori.
Che potrebbe essere sia una chiusa migliore che un ottimo inizio, a mio avviso, viste le mille cose da fare domani.
Cristiano Gabrielli https://www.facebook.com/cristiano.gabrielli.94