R1 Gli Occhi dell’aviatore

di Francesca Vitale

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“Dominati, e gli altri ti sopporteranno”
Strappa da te la vanità
Sei un cane bastonato sotto la grandine,
Un apica rigonfia in uno spasimo di sole,
Metà nero metà bianco
Né distingui un’ala da una coda
Strappa da te le vanità
Come sono meschini i tuoi rancori
Nutriti di falsità.
Strappa da te la vanità,
Avido di distruggere, avaro di carità,
Strappa da te la vanità,
Ti dico, strappala(…)

E. Pound, da Canto LXXXI, in Canti Pisani

Gli Occhi dell’aviatore è il titolo di questa Trilogia ‘cimiteriale’ che presento al MADE.

Un racconto di ombre, sguardi, pause, silenzi. di voci sussurrate e fantasmi.

Attraversamenti di spazi conclusi confinati alla memoria labile collettiva e a sottrazioni fotografiche minimalistiche, violazioni  di storie personali, epitaffi-graffi che, a queste Caras sorridenti e malinconiche sull’orlo dell’ oblio, restituiscono Tempo-dignità, presenza nel mondo.

Forse.

La Trilogia Gli Occhi dell’aviatore rappresenta una sorta di ‘The End’, il finale di un percorso per immagini fisse e in movimento, in cui per anni ho cercato di portare un  omaggio, in modi  diversi nel tempo, a un mondo d’ombre e  persone sconosciute, al nostro doppio underground.

Un omaggio che nasce prima di tutto dallo scegliere di passeggiare nei cimiteri anche semplicemente in un momento di vacanza.

Un modo, casuale ma ri-cercato, per incontrare l’anima dei luoghi, di cui i cimiteri sono in qualche modo una cartina tornasole.

Nelle immagini  delle lapidi, negli epitaffi, frugando tra le date di nascita e morte e le cause, tra i fiori secchi abbandonati a capo in giù, si può leggere infatti  la storia di un posto, i suoi costumi, svelati anche dalle fogge nei ritratti scelti per le lapidi.

Leggendo cronologicamente la Trilogia , il primo corto è Is Mortorius del 2008,costruito con foto prese nel cimitero dell’ Argentiera, un ex paese minerario, e quello di Posada, altro piccolo paese, luogo di pastori e agricoltori come quasi tutta la Sardegna un tempo ed anche oggi, forse.

I sorrisi, pieni o accennati nelle foto, raccontano: quasi sempre infatti i ritratti sulle lapidi sorridono e comunque hanno un qualcosa di rassicurante e inquietante (naturalmente) insieme.

Un omaggio anche alla Sardegna, regione italiana di mare, isola di profumi e luci incredibili dove, in una delle poche città esistenti, Cagliari, la Santa che protegge i naviganti, i marinai e anche solo la gente comune, quando è arrivata è stato di notte: una statua in piedi nella barca illuminata da un lume resistente, approdata in salvo su una  spiaggia di Cagliari dopo un lungo viaggio alla apparente deriva delle onde.

A Bonaria le è dedicato il  santuario, imponente e sfacciatamente bianco, che affaccia sul mare, come tutta Cagliari,  e sul retro c’è un enorme cimitero monumentale.

Le fotografie realizzate lì compongono  e  animano il secondo video Maniposas del 2011. Anche qui il titolo fa  riferimento alla lingua sarda, lingua particolare con moltissimi dialetti e influenze,  tra cui quella spagnola. In uno dei tanti rivoli di linguaggio, in uno dei tanti sottodialetti sardi, maniposa significa farfalla.

Esiste anche, più diffuso e preso pari pari dallo spagnolo, mariposa per indicare  la farfalla, ma ho preferito il primo termine, perché include  la  parola mani  che per me indica in questo caso quasi una carezza, un gesto di partecipazione ad uno stato. un segno di pietas.

Mani posas mi è sempre suonato in italiano come mani posa, carezze.

Carezze in effetti sono  per me gli scatti ‘felpati’ che ho realizzato camminando, stordita dal caldo e quasi intimorita già all’ ingresso, che poi è sempre soglia, confine e quindi anche luogo  di contaminazione e fragilità. La macchina fotografica costituisce sempre un filtro,una protezione, una presa di distanza interiore, come si dice nella filosofia zen, necessaria, ma in questo caso anche  un mezzo per avvicinare.

Gli occhi dell’aviatore sono quelli che ho incontrato per primi entrando nel cimitero di Bonaria, nella piazza centrale che accoglie il visitatore.

Prima di impaurirmi o di smarrirmi, ho visto subito questi occhi blu della seconda guerra mondiale, di un ragazzo sparito in cielo con il suo aereo .e  sono stati in qualche modo rassicuranti.

Da lì ho iniziato il mio percorso (nel labirinto qual è un cimitero monumentale) a piedi, casuale, come faccio sempre, ma a Bonaria avvicinandomi di più con l’obiettivo rispetto a precedenti lavori, cercando gli sguardi in modo più  ravvicinato.

Alle fotografie, ai frammenti raccolti in giro ho voluto poi dare una colorazione elettrica e le ho chiamate Pop Maniposas, ad indicare che in fondo si può parlare, riflettere, sulla morte, senza spegnere la vita o i colori del racconto, senza per forza essere dark, senza offendere ma dissacrando leggermente, cercando anche l’ aspetto grottesco che queste immagini e parole e date ci rimandano. uomini donne e bambini, ognuno con la sua maschera e il suo lascito paradossale a chi da vivo le guarda.

Il Terzo corto della Trilogia, L’eternità sceglie l’attimo(2013) rappresenta la parte  finale, l’ acme forse, del ricordare -per immagini e suoni- la mia  nascita e infanzia veneziana, iniziata all’ospedale civile di Venezia che si affaccia nella laguna aperta dalle Fondamenta Nuove.

Da questo imbarcadero esterno (rispetto al cuore di Venezia) partono i vaporetti e i motoscafi, oltre che per Murano e Burano, anche per l’isola dei morti, il San Michele.

Quindi la vita e la morte sembrano guardarsi frontalmente da lontano,  frapposta la nebbia invernale o la foschia estiva. La mia scelta è stata girare con la nebbia, costruire il racconto, mio personale, di imbarco sbarco e passeggiata nel San Michele alla ricerca della tomba di Pound e di Brodskij, seppelliti lì entrambi e vicini, percorrendo e tracciando  il sentiero contorto tra le due lapidi.

Come si sa Pound e Brodskij sono stati tra i tanti ‘stranieri’ che, affascinati dalla magia della città e della sua laguna, ci hanno lasciato pagine memorabili su Venezia.

Pound l’ha abitata col suo muto  ed estremo silenzio degli ultimi anni riversandolo nelle calli,dove forse ancora serpeggia per chi sa ascoltare. Anni prima, fotografando la sua lapide, mi ero commossa notandone la semplicità, come appare nel corto: una lastra poggiata sulla terra, quasi abbandonata, coperta di erbe e foglie di edera e con sopra scritto solo Ezra Pound.

Avevo quindi scattato delle foto alla lapide in quel primo mio lavoro su Venezia, Venezia A/R, e poi pensato di tornarci per rendere un altro omaggio fotografico al Pound veneziano.   E così ho fatto. Le parole di Brodskij invece, quelle delle Fondamenta degli incurabili e delle  poesie dedicate all’arcipelago lagunare e a quella lacrima salata di bellezza che è per lui Venezia, le avevo lette e rilette e ne avevo fatto la mia bibbia dorata veneziana, il contenitore lacrimale della mia memoria personale sulla città. E quindi sono andata a cercare anche lui, Brodskij, nell’isola dei morti.

Il corto, girato volutamente con una macchina fotografica compatta e leggera ( sommando, con montaggio certosino, brevissime frequenze di ripresa) racconta la mia passeggiata in due giorni di pioggia e nebbia all’interno del recinto nel recinto dell’isola, e poi, a ritroso, alle Fondamenta nuove.

In fase di montaggio abbiamo dato il senso di questo movimento al’indietro nei passi del ritorno e inserito  frammenti, riprese dalla The Dead of Sea e di un secondo movimento di danza di Kazuo Ohno, maestro centenario della danza butoh.

Nel  corto infatti Kazuo Ohno, dopo aver sorvolato velocissimo sulle tombe, viene risucchiato dalla scia del vaporetto del ritorno e approda sulla laguna avvolta dalla nebbia e attraversata dal volo dei gabbiani che a Venezia accorrono in folla  a cibarsi dei rifiuti che galleggiano.

Il video si conclude quindi con le parole del maestro Ohno così come le ho interpretate io, traslando: un omaggio al significato, all’ essenza ultima della fotografia, come scelta e sottrazione di attimi di vita al reale e alla poesia della derealtà, quell’illogico che ci fa danzare nella nebbia.

Ho danzato nei confini dell’illogico. Attimo. L’attimo. Non tutti, anche uno solo. Non tutti. Anche un secondo solo è un attimo. Il breve attimo va per messo a frutto. Quando sono sul palco e sono concentrato…un passo, due passi…tre passi…No…tre passi, un passo e il quinto…allora, l’attimo…nell’attimo c’è l’eternità. Non tutti. L’eternità sceglie l’attimo. C’è il sole, c’è la luna, e quando si fanno incontrare è una profonda commozione. Il tempo dell’eternità dentro l’attimo. Se non si possiede il tempo dell’eternità, allora tutto diviene impossibile’».

E’ l’essenza anche della danza, e di ogni cosa che nella vita è fatta con passione illogica: freccia e senso stesso dell’ esistere, forse.

 Attimi di sogno insonne nell’onirico delle visioni legate al ricordo, ad una treccia di ricordi insuperabili, mementi vitae che qui, a differenza degli altri due corti, rimandano in modo più netto ad un vissuto personale che poteva essere anche semplicemente il ricordo di me bambina che vedendo queste gondole particolari con baldacchino e drappi neri, entrare nella nebbia, chiedevo a mio padre ‘’ chi sono? che fanno? dove vanno?’’

Ecco, queste domande, ingenue direi, questi perché primordiali, sono quelli che si potrebbero porre ai fantasmi, agli occhi delle Caras, che nei tre corti della Trilogia ci guardano insistentemente,. a  quelle pietre del San Michele, alcune rotte, altre coperte di muschio fango e foglie, che venendoci incontro nel riaffiorare dalle pozze di pioggia, sembrano porci gli stessi  interrogativi,  senza alcuna risposta che non sia la domanda stessa.

Per noi la nebbia è come l’acqua per i pesci. E’ il luogo dove vediamo meglio, non solo dentro, ma anche fuori. L’uomo nella nebbia, fatto di nebbia,  è come un pesce nell’acqua che, per quanto nuoti, non trova limiti nell’acqua, né al suo nuotare. Tutta l’acqua è il pesce che nuota (…)*

*Fausto Taiten Guareschi ( da Fatti di nebbia 2013)

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Francesca Vitale 
https://www.facebook.com/francescavitale1961
https://vimeo.com/calligrafie

#RESISTENCIA é un progetto di MADE A.C.https://www.facebook.com/madeasociacion/
Direzione artistica e design Cristiano Gabrielli
Produzione, mediazione culturale e traduzioni Vanya Saavedra
Registrazione fotografica e video Germán Torres

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